Friday, December 30, 2011

Quando la scuola si racconta. "Noi domani" di Vinicio Ongini.

Vinicio Ongini :
“Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale”
Laterza editore, Bari 2011



L’autore , l’editore, ….

Vinicio Ongini è un maestro, come giustamente gli piace continuare a chiamarsi, che lavora presso il MIUR, in base ad una norma (1) che, nonostante tutto, resiste (non sempre le Finanziarie sono state “a perdere”…). Lavora alla Direzione Generale per lo Studente,l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione, occupandosi in specifico dell’integrazione degli studenti stranieri. Da qui, il MIUR, dal 1996, compie annualmente indagini conoscitive sulla presenza/frequenza di alunni/studenti stranieri nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, che confluiscono nel Rapporto Alunni con cittadinanza non italiana, il cui obiettivo dovrebbe essere, ancora oggi, alla base della progettazione di politiche educative adeguate alle trasformazioni della scuola italiana.
Le informazioni raccolte da tali indagini del M.I.U.R. (ex Rilevazioni Integrative) vengono acquisite dal Sistema Informativo e dal Servizio Statistico della Direzione Generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi.
Da quest’ anno, sulla base di un “Protocollo d’intesa”- tra il Ministero dell’Istruzione, e la Fondazione I.S.MU. Iniziative e Studi sulla multietnicità- il monitoraggio statistico dei percorsi è stato fornito alla Fondazione per la successiva elaborazione.
Sembra evidente che il monitoraggio statistico dei percorsi scolastici sia uno strumento strategico per una conoscenza approfondita del fenomeno,necessario, ma non sufficiente, per trasformare tale conoscenza in pedagogia,metodologia e didattica,che è poi il mestiere della scuola.
Il “Noi domani” di Ongini parte da qui, ma rintraccia nelle diversità feconde e creative delle scuole reali nei territori dell’Italia ogni utile suggestione capace di restituire onore al merito alle tante maestre (e agli alcuni maestri- a dispetto del fantasmatico “maestro unico “) che sanno fare il loro mestiere. Ben giusto,e condivisibile, il commento di Tullio De Mauro nella prefazione “… non si può dire che la scuola rifletta meccanicamente tendenze e umori appariscenti nella società,o per dire meglio,se riflette la società è capace di espungere e spurgare quanto c’è in essa di deteriore”.
Forse meno condivisibile il commento in chiusura della Prefazione “… se un rimprovero si può muovere alla nostra scuola è che essa è ben consapevole di quanto ha fatto, sa fare e fa per l’intero Paese. Il libro di Ongini, tra gli altri meriti, può essere d’aiuto, può stimolare il giusto orgoglio della nostra scuola pubblica”.
Tornerò su questo commento: qui è sufficiente porre una domanda,forse retorica,ma non per questo meno pertinente:”quanti editori sono disponibili a dare spazio e diffusione a lavori come questi? rende sicuramente di più dare spazio ai vari “io speriamo che me la cavo” o alle storielle di scuola raccontate ai miei cani,che anche se scritte da insegnanti aggiungono pietre e pietruzze allo “stupidario endemico” che si produce sul pianeta scuola pubblica e insegnanti,su cui poi i Brunetta di turno,possono aggiungere il carico da novanta del discredito e dello sprezzo.

Il viaggio di Vinicio, allora, a partire dalle mappe

Il paesaggio multiculturale comincia dai numeri di quel monitoraggio statistico, interpretato oltre i numeri, che tuttavia sono un buon TOM TOM per orientarsi.
Numeri, tabelle con le quali ongini richiama il Quadro di sintesi, le caratteristiche generali del fenomeno, fotografate nell'anno scolastico 2010/11 , poi le presenze e dinamiche territoriali e infine l’andamento storico.
Ne risulta una progressione esponenziale che documenta una realtà di fatto strutturale del nostro sistema scolastico e che autorizza a non indulgere ulteriormente in tabelle,che peraltro lo stesso Ongini utilizza con parsimonia e con personali elaborazioni grafiche, per riempire lo zaino con le sue mappe di viaggio,che gli evidenziano anche le provenienze più rilevanti dal mondo verso l’Italia:
144.220 rumeni, 96.394 albanesi, 89.311 marocchini, 29.233 cinesi, 19.418 ecuadoregni , e via via tutto il mondo, in una scuola “a colori”…

Il viaggio allora

Da Cuneo, a Torino, a Genova, a Milano,a Cremona, a Treviso, a Bologna, a Firenze, a Prato, a Roma, a Lecce, a Matera, a Reggio Calabria, a Palermo..
Una geografia pedagogica, intrigante e significativa, cui prima,durante, e dopo il viaggio Ongini disegna e intervalla con le sue riflessioni e con i suoi studi: impressionante la bibliografia e l’apparato normativo di riferimento,che non è sfoggio accademico,ma personale e sistematico impegno professionale di lavoro e di studio, e che segnala come prima di parlare e/o di legiferare ,sarà pur necessario studiare,almeno per rendersi conto che, mentre siamo ancora un paese di emigranti, siamo contemporaneamente un paese di immigrati.
La molteplicità delle provenienze è il differenziale rispetto alla costante e storica migrazione di genti e di popoli in e da tutto il mondo.
Siamo in presenza di un policentrismo diffuso che attraversa centri città, periferie, piccoli paesi che disegna un atlante delle piccole isole di resistenza;
la tentazione semplicistica dell’omogeneità (il tetto del 30%), le classi separate per insegnare/imparare l’italiano nascondono,in realtà e neanche tanto velatamente, il razzismo implicito e latente di “molti/troppi” italiani, che bene potrebbero ripetere un detto conosciuto.
Lo scrivo in italiano,anche se la mia lingua madre bolognese sarebbe più espressiva, “Io non sono razzista,è lui che è negro!”
Viaggiare fra le scuole serve anche per rendersi conto che facciamo vivere l'istruzione pubblica in spazi incongrui,spesso fatiscenti e oggettivamente insicuri dove spesso sono proprio i genitori, ”vecchi e nuovi “ cittadini, a farsi carico della manutenzione e dell’abbellimento degli spazi di vita, di apprendimento, di relazione dei nostri figli, tutti.
Ma a che serve riassumere? Questo libro vuole proprio essere letto, prima tutto d’un fiato e poi con calma, per capire fino in fondo che la scuola pubblica italiana è davvero capace di futuro, che tutte le diversità sono fonte di guadagno cognitivo e relazionale per tutti. La stessa toponomastica pedagogica con cui vengono nominati i progetti di lavoro è segnale promettente di futuro: bottega artigiana, piantare libri nell’orto, una gallina poliglotta, la bella scuola …

…….un’inusuale doppia recensione

Avevo promesso di ritornare sulle considerazioni di De Mauro, laddove rileva la scarsa consapevolezza degli insegnanti italiani circa la loro competenza professionale.
Per una straordinaria coincidenza, mentre scrivevo queste note,mi ha chiama al telefono una mia antica compagna di scuola dell’Istituto Magistrale Laura Bassi, che poi ho rincontrato nel mio percorso di lavoro nella scuola.
Mi vuole portare un libro che ha scritto e pubblicato a proprie spese. Forse c’è qui anche la risposta alla domanda provocatoriamente retorica che ho fatto poco fa: gli insegnanti sanno cosa hanno fatto e cosa stanno facendo nella scuola pubblica italiana, ma forse mancano proprio editori altrettanto consapevoli e attenti.
Rossana Fabbri va in pensione e, con questo progetto, pubblica : “La mia scuola. Storia di un’insegnante elementare(1968/2004)“.
La Gelmini, adesso che non deve più rincorrere i neutrini nel tunnel del Gran Sasso, avrà forse un ulteriore sussulto nel veder citato quel 68 che tanto l’ ossessiona, ma è proprio a far tempo da quella data che nasce il Tempo Pieno, che nasce e cresce la partecipazione delle famiglie alla vita della scuola,che le maestre e i (pochi) maestri smettono di essere “unici”e si attrezzano per diventare professionisti collettivi,per confrontare e condividere con i genitori,con le “dade”,(2) con Direttori/trici,con gli impiegati della scuola e del Comune il mestiere di far crescere i più piccoli . Un “cum” latino che recupera in pieno la sua valenza semantica di “fare insieme”,dove anche “competizione” e “concorrenza “ significano chiedere e correre insieme per un obiettivo condiviso di democrazia e di futuro.

…e per finire

Due atlanti di esperienze pedagogiche e professionali, di ieri e di oggi, che mi piace accomunare, ma che mi rifiuto di chiamare best practises ,cooperative learning, termini che oggi infestano il linguaggio pedagogico con cui si vorrebbe stimolare “merito”, ”competitività,” in un vuoto culturale che evidenzia piuttosto lo sciocco cosmopolitismo provinciale –l’ossimoro è voluto- con cui si affrontano temi/problemi della contemporaneità.
Alla fine del millennio precedente e in apertura del millennio presente ,ora come allora,la cittadinanza scolastica e formativa,in funzione della cittadinanza sociale dichiarata dall’art. 3 della Costituzione, significa adesione ad una tradizione ricevuta,ma sempre proiettata sul futuro e su un Progetto di Vita.
Una inte(g)razione, a cui anche Ongini (come altrove don Ciotti) vuol far cadere la “g”, perchè è interazione tra le diverse età della vita, tra le diverse storie e geografie di vita, tra le diverse e complementari narrazioni che fa crescere. E la scuola è proprio lo strumento giusto, anche e soprattutto in tempi di crisi, come dimostra la straordinaria permanenza della cultura sociale e pedagogica degli anni ’70, perché crescita e sviluppo , per essere tali, devono percorrere la via democratica della crescita e dello sviluppo di cittadini e cittadine,vecchi e nuovi .

Rosanna Facchini

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Note.
1) La Legge 448 /1998,art. 26,comma 8. “L'amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi, per i compiti connessi con l'attuazione dell'autonomia scolastica, dell'opera di docenti e dirigenti scolastici, forniti di adeguati titoli culturali, scientifici e professionali, nei limiti di un contingente non superiore a cinquecento unità....”


2) A Bologna i /le bidelli/e si chiamano così,con una parola che in dialetto significa sia “sorella” sia “bidella“.